venerdì 5 giugno 2020

Ludovica Benini - LA PANDEMIA NELLA LETTERATURA


I N T R O D U Z I O N E

Ho scelto per la mia tesina il tema de “Le Pandemie: la paura nella storia” perché è un tema di grande attualità causato dall’arrivo in Italia del virus Covid-19.  Ho immediatamente capito che quel senso di paura che avvertivo, anzi che avvertivamo tutti noi, era lo stesso provato da coloro che ci hanno preceduto in epoche diverse e si sono ritrovati a vivere la stessa situazione.                      Dopo un attimo di smarrimento iniziale, dove non sapevo cosa pensare, ho compreso la gravità della situazione che stavo vivendo, quando l’11 marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dichiarato lo Stato di Pandemia da Covid-19. Immediatamente mi sono venute alla mente le Pandemie nella nostra letteratura, studiate e discusse a scuola, e non solo a me, ma anche i giornali, le televisioni e tutti i mezzi d’informazione, nonché i principali studiosi e tutti le persone comuni, hanno fatto, come me, lo stesso riferimento alla nostra letteratura, perché nonostante siano passati centinaia e centinaia di anni, quasi 400 per l’esattezza, il virus di oggi, si è riprodotto con le stesse caratteristiche di allora.                                                                                                                    Entrambe le Pandemie sono state causate da animali infetti e si sono diffuse grazie al fiorente scambio commerciale, soprattutto in città economicamente elevate, (come appunto Milano) con più passaggio di persone. Analogia anche sul fatto che i medici di allora come quelli di oggi, procedevano a tentativi per individuare la cura più efficace e ridurre la mortalità, inoltre venne imposta una quarantena, il divieto di spostarsi tra regioni e il distanziamento sociale come unico modo per indebolirla.
I paesi coinvolti in queste Pandemie, si trovano a dover affrontare criticità non solo dal punto di vista sanitario, ma anche, economico, politico e sociale. Spesso, a questo si aggiunge il problema di alcuni atti di razzismo nei confronti di coloro che si pensa possono spargere il contagio, mettendo gli uomini gli uni contro gl’altri: è successo oggi, inizialmente sbeffeggiando la popolazione cinese, e successe nel 600, a Milano, quando Renzo, il protagonista del romanzo “i promessi sposi” del Manzoni venne scambiato per untore, come viene raccontato nel capitolo XXXIII del romanzo stesso.
Inizierò a raccontare la mia tesina proprio dai due principali episodi narrati nella letteratura italiana: la peste raccontata dal Boccaccio e la peste raccontata dal Manzoni.


LA PESTE RACCONTATA DAL BOCCACCIO: IL DECAMERON                                                                 
La Peste (o Peste Nera) del 300 fa da cornice narrativa a tutta l’Opera del Boccaccio: il Decameron. Il Decameron, dal greco “dieci giornate”, è stato scritto tra 1349 e il 1351 ed è una raccolta di 100 novelle, scritte in volgare fiorentino, raccolte appunto in 10 giornate, tutte inquadrate in una complessa cornice narrativa.                                                                                                               L’introduzione, si apre con una drammatica immagine di morte.                                                       L’autore descrive infatti la peste che colpì Firenze (e l’Europa), nel 1348, uccidendo i 2/3 della popolazione. L’epidemia scatenata da un focolaio orientale e dilagata nelle città portuali europee, sarebbe poi arrivata a Firenze, già provata da una profonda crisi economica e politica. Giovanni Boccaccio vive a Firenze durante la terribile epidemia e dunque fa da testimone oculare dell’evento. Egli descrive con realismo gli orrori che la peste provoca in città. Ciò che colpisce la sua attenzione, però, non è solo il rapido propagarsi della malattia e la facilità con cui si diffonde, ma soprattutto il fatto che la peste ha disgregato il tessuto sociale della città fiorentina e ha sconvolto i normali rapporti perfino nelle famiglie.                                                                                                              L’autore spiega che questo tragico ricordo, (“la dolorosa ricordazione della pestifera mortalità trapassata”) è la responsabile “dell’orrido cominciamento” della sua opera, e dopo aver ipotizzato le cause dell’epidemia, Boccaccio inizia a scrivere in maniera dettagliata i primi segni della pestilenza:
 ”..nascevano nel camminamento d’essa a’ maschi ed alle femmine parimenti o nell’anguinaia o sotto le ditelle certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come un uovo, e alcune più e alcun’ altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli…E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a  venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.”                                                         
Il Decameron di Giovanni Boccaccio ha una struttura particolare a “cornice” che svolge un ruolo fondamentale. La cornice è la situazione di base e di partenza del racconto, è la situazione narrativa entro la quale si decide di raccontare le novelle, consiste in una storia-contenitore, che ha la funzione di collegare tra di loro le cento novelle, una specie di racconto nel racconto, con due distinti livelli di narrazione.

La “novella cornice” viene presentata subito all’inizio dell’opera: una brigata di sette ragazze e tre ragazzi, si incontrano a Firenze nella Chiesa di Santa Maria Novella, mentre la città è devastata dalla terribile peste del 1348. Per sfuggire alla malattia e per dimenticare la sofferenza e la desolazione che regna in città, decidono di trasferirsi, in campagna, in una villa circondata dalla natura e da una pace incontrastata. Qui trascorrono due settimane tra canti, balli e racconti: infatti per trascorrere meglio il tempo e tenere lontano ogni cattivo pensiero e ogni cattiva notizia che potrebbe giungere dall’esterno, i giovani decidono di raccontare ognuno una novella, dieci ogni giorno, (tranne il venerdì e il sabato per riguardo alla religione) per intrattenersi e riflettere sul significato di ogni storia. Ogni giorno eleggono un re o una regina, a cui spetta il compito di fissare il tema della giornata, cioè l’argomento, delle dieci novelle che saranno raccontate, a turno, quel giorno. Ogni novella è preceduta dalla presentazione che ne fa il giovane narratore ed è seguita dai commenti del pubblico.                                                                                                                        Questa è la cornice novella, entro la quale vengono ad inserirsi i cento racconti diversi, ognuno con il proprio tempo, una sua trama, un tema, uno spazio.                                                                             

Il Decameron ha rappresentato un nuovo genere letterario, fino a quel tempo sconosciuto, quello della novella ed è un opera di grandissima importanza per la nostra letteratura. Inoltre, l’autore scrivendo quest’opera, voleva illustrare al popolo due tematiche essenziali: dimostrare ai fiorentini che è possibile rialzarsi da qualunque disgrazia si venga colpiti, proprio come fanno i 10 giovani con la peste, e il rispetto nei confronti delle donne, alle quali la sua opera è dedicata. Il Boccaccio non si rivolge a tutte le donne, ma in particolare a quelle innamorate, allo scopo di alleviare le loro pene d’amore. Diversamente dagli uomini, occupati in mille faccende, alle donne di quel tempo sono concesse poche distrazioni e trascorrono la maggior parte del tempo chiuse nelle loro stanze, avendo così più tempo per leggere. Con la sua opera, l’autore, non vuole solo offrire uno svago, ma vuole indicare alle donne anche dei modelli di comportamento.

CURIOSITA’
In realtà le novelle presenti all’interno del Decameron non sono 100 ma 101: all’inizio della IV giornata è lo stesso autore a raccontare la novella delle papere, che si aggiunge così alle 10 raccontate nella stessa giornata dai membri della brigata.

LA PESTE RACCONTATA DAL MANZONI NEI CAPITOLI FINALI DE “I PROMESSI SPOSI”
La Peste Nera rimase in Europa, per altri duecento anni, dopo il 1351, ma colpì per lo più in forma leggera, fino al 600, quando una nuova ondata cruenta colpì il Nord Italia ( 1630/31 ).                                                                            Tutto questo viene raccontato da Alessandro Manzoni che descrive nel dettaglio la propagazione della peste a Milano, ne “I Promessi Sposi”.                                   
Allora, come oggi, la Lomabrdia è una delle regioni italiane più colpite dall’epidemia, e la città di  Milano, molto popolosa e ricca di commerci, rappresenta anche a quel tempo, uno dei più importanti centri economici d’Italia. Questo grande scambio di persone e una precedente carestia, che ha gia reso vulnerabile la città, fanno si che la peste si riproduca assai velocemente.                                                                                                Il Manzoni, nel capitolo XXXII, descrive Milano, come una città tumultosa, malsana, triste e in preda ad un forte disordine e mette in risalto l’incuria e l’indifferenza del potere pubblico nel fronteggiare l’emergenza. Vi è un continuo alternarsi di comportamenti bestiali (lo squallore delle strade cosparse di cadaveri, gettati perfino dalle finestre) e atteggiamenti caritatevoli (famoso l’episodio della madre di Cecilia, che impietosisce perfino il monatta) e ciò che spicca è l’alterazione del tessuto sociale: il venir meno dei rapporti umani per la malattia, la diffidenza reciproca e si diffonde, tra la gente, la paura degli untori, coloro che vengono accusati di spargere il contagio e per questo avvengono episodi di linciaggio da parte della folla ai danni di persone innocenti (un po’ com’è successo oggi, all’inizio di questa pandemia, con la popolazione cinese). Anche Renzo, il protagonista del racconto, si trova a Milano per avere notizie della sua amata Lucia. Viene anch’egli inseguito e creduto un untore e deve scappare dalla folla per non essere linciato. Quando sembra ormai perduto, trova riparo tra i corpi dei morti sul carro dei monatti che, scambiandolo per un untore, gli offrono la loro protezione. Verrà condotto al lazzaretto dove rincontrerà la sua Lucia, e assisterà alla morte di Don Rodrigo. I monatti diventano i padroni delle strade e usano il loro potere per derubare gli ammalati.



LA PESTE
La Peste è una malattia infettiva causata da un batterio presente nelle pulci ospitate da animali come topi e conigli. E’ stata uno dei flagelli più pericolosi e catstrofici che hanno colpito l’umanità. Si diffuse per millenni e in ogni parte del mondo.                                                                      All’origine della peste non vi fu Dio ma una serie di motivazioni naturali e socio-economiche. La Peste Nera del Trecento, rappresentò il disastro più memorabile dell’ Occidente Medievale. L’epidemia arrivò in Europa attraverso le rotte commerciali con l’Oriente. Le navi genovesi di ritorno in Europa trasportarono la peste prima nel porto di Costantinopoli e poi in quello di Messina. L’epidemia trovò l’Europa già in difficoltà, colpita da numerose carestie e scarse condizioni igeniche, e si diffuse velocemnte.                                                                                            La medicina del tempo non aveva strumenti per combattere la malattia, e la Chiesa , che credeva ad un Castigo di Dio, organizzava processioni, aumentando così il contagio. La mortalità fu altissima: 30 milioni di vittime, 1/3 della popolazione. In italia vennero colpite in particolar modo le Regioni del Nord, fino a Firenze che perse i 2/3 della popolazione, e intere citta vennero spazzate via. L’espressione peste nera nacque dall’osservazione che si potè fare dei sintomi che essa provocava sulle persone: la comparsa di macchie scure o livide di origine emorragica che si manifestavano sulla cute e sulle mucose dei malati. La peste nera rimase in Italia per duecento anni ma fino al 600 colpì per lo più in forma leggers e  senza coinvolgere tutto il continente. Nel 1629 una nuova ondata di peste, fu portata nel Nord Italia, controllato dal Sacro Romano Impero, dai Lanzichenecchi scesi dalla Germania per sedare i tumulti tra mendicanti e vagabondi che avevano preso d’assalto le città per cercare condizioni migliori rispetto alle campagne colpite dalla carestia.

CURIOSITA’                                                                                                                                                               La peste del 300 ha lasciato in eredità un fatto curioso: diminui l’altezza delle donne.  L’antropologa  Sharon Dewitte dell’ Università della Carolina del Sud, confrontando le tibie e i canini di donne morte prima e dopo la peste, rivelò che dopo la pandemia, le ossa femminili sono diventate più corte e di conseguenza le donne più basse.
Peste Nera o Bubbonica                                                                                                                                            La Peste Nera è un termine moderno. Era conosciuta, allora, come Grande Morte o Morte Nera o Pestlenza.  L’espressione Peste Nera nacque dall’osservazione dei sintomi che essa provocava sulle persone: comparsa di macchie scure o livide di origine emorragica che si manifestavano sulla cute o sulle mucose dei malati. La peste Bubbonica era causata dai morsi delle pulci, i batteri “ Yersina Pestis”, si moltiplicavano formando i famigerati bubboni.

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